Giovanni Lanfranco, Venere che suona l’arpa (Fig. 1 ).
Il presente articolo s’incentra su un quadro di Giovanni Lanfranco oggi alla Galleria Nazionale d’Arte Antica di Palazzo Barberini,1 in cui è rappresentata un’arpa molto simile a quella tradizionalmente denominata Barberini,2 oggi a Roma al Museo Nazionale degli Strumenti Musicali.
Arpa Barberini, Museo Nazionale degli Strumenti Musicali (Fig. 2 ).
Questo dipinto si era pensato a lungo essere una committenza dei Barberini al pittore Giovanni Lanfranco, finché non si scoprì che era stato lasciato in eredità ad Antonio Barberini dal celebre arpista, compositore e cantore Marco Marazzoli.3 L’intento è innanzitutto quello di fornire degli approfondimenti sul quadro con particolare riguardo alla rappresentazione dell’arpa, offrendo una datazione più precisa per la sua realizzazione. In seguito intendiamo analizzare l’opera all’interno dell’abitazione del Marazzoli, mettendola in relazione con altri dipinti ivi esposti.
1) Il dipinto e Marco Marazzoli
L’umanista Sabba Castiglione nei suoi Ricordi pubblicati nel 1575 scrive a proposito degli strumenti che adornano le dimore di molte persone: “quali ornamenti io certo commendo assai perché questi tali istrumenti dilettano molto all’orecchio, e ricreano molto gli animi, i quali come diceva Platone, si ricordano dell’armonia la qual nasce da i moti delli circoli celesti: ancora piacciono assai a l’occhio, quando sono diligentemente e per mano d’eccellenti maestri lavorati”.4 L’importanza dello strumento come oggetto non solo da suonare ma anche da guardare si rafforza nel secolo successivo tanto che il celebre teorico Giovanni Battista Doni scrive nel suo Trattato della musica scenica: “Facendosi dunque apparire gli strumenti alla vista del popolo è convenevole aver riguardo che abbiano bella e graziosa apparenza […] perché un’arpa indorata fa bellissima vista e il suo suono si sente e meglio si unisce alla voce umana; e insomma ha più del grande e del nobile che gli strumenti da tasti […].”5 Ed è forse proprio il fatto che gli strumenti vengano rappresentati in dipinti (e che dipinti se si guarda quello appartenuto al Marazzoli!) a rendere ancora più chiara l’importanza estetica di questi oggetti. Il quadro di Giovanni Lanfranco rappresenta una donna vestita di un drappo blu, molto ampio e voluminoso, che la cinge fino alla vita. Sta suonando un’arpa doppia, dalla colonna tutta intagliata e dorata, il viso rivolto verso lo spettatore nell’atto di cantare. Sulla destra in secondo piano due amorini alati si uniscono a lei nel canto leggendo un foglio di musica, mentre un grande drappo di broccato rosso sulla sinistra fa da sfondo alla scena. Già il soggetto di per sé è interessante. Di cosa si tratta?
Il quadro era noto, prima che Franca Trinchieri Camiz lo riconoscesse menzionato nel testamento di Marco Marazzoli,6 come un’allegoria della musica o, semplicemente, “la musica”. 7 Il Marazzoli invece, che fu il primo proprietario del dipinto, lo descrive come: una “Venere che sona d’arpa e due Amori”.8 Che si tratta di Venere lo dimostrano solo i due amorini in secondo piano, poiché la donna non ha attributi che la caratterizzino come tale. Certo l’iconografia di Venere musicista è insolita. Se è vero che viene accostata alla musica per esempio nel celebre dipinto di Tiziano con la Venere e il suonatore di liuto, è raro che sia ella stessa rappresentata nell’atto di suonare.
Tiziano, Venere e il suonatore di liuto (Fig. 3 ).
Tra l’altro è il caso di notare che la Venere del Marazzoli perde la sua connotazione nel momento in cui entra nelle collezioni Barberini, dove è inventariata a partire dal 1671 come una “donna grande al naturale che suona l’Arpa mezza nuda mano del Cav. Lanfranco”.9 Il quadro si può mettere in relazione con le rappresentazioni di donne veneziane (il più delle volte cortigiane), particolarmente in voga nel Cinquecento, rappresentate mentre suonano uno strumento, solitamente un liuto. Spesso assumevano la connotazione di Venere, dea dell’amore, in virtù del carattere erotico dell’immagine. Come nel caso dei dipinti veneziani la donna appare molto ‘reale’; ha una capigliatura alla moda che ritroviamo in altre opere dei primi anni Trenta del Seicento.
Andrea Sacchi, Allegoria della Divina Sapienza, detail (Fig. 4 ).
Gli zoccoli, spesso indossati da cortigiane, e gli orecchini sono elementi che contribuiscono al carattere sensuale della figura. Lo stesso vale per l’attività musicale, essendo la musica fin dall’antichità considerata capace di suscitare forti emozioni, soprattutto se l’interprete è una donna.10
Oltre al soggetto anche la teatralità della composizione rende il dipinto particolare: il drappo rosso che evoca un sipario, la donna che volge lo sguardo verso lo spettatore, come stesse eseguendo la musica esclusivamente per lui. Soprattutto salta all’occhio la predominanza nel quadro dello strumento, molto simile, come già accennato, all’arpa Barberini.11 La presenza dello strumento nel dipinto si giustifica proprio per l’appartenenza del quadro al celebre arpista Marco Marazzoli. Non solo egli fu proprietario del quadro, ma anche l’arpa rappresentata si trovava in mano sua, pur se di fatto apparteneva al cardinale Antonio Barberini, suo mecenate. Nell’inventario di quest’ultimo del 1636-1644 è infatti menzionata “un’Arpa grande tutta intagliata dorata con sue corde in mano a Marco Marazzoli”12 che ricompare anche nel testamento e nell’inventario del musicista. Alcuni documenti nell’Archivio Barberini attestano inoltre la committenza di un’arpa da parte di Antonio Barberini per il musicista Marco Marazzoli nel 1632-1633 pagata un totale di circa 125 scudi.13 Vi è tra questi anche una descrizione dello strumento fornita dall’intagliatore che coincide con l’arparappresentata poi da Lanfranco. Si può immaginare che questo importante e costoso strumento, fatto fare appositamente per l’arpista, abbia dato lo spunto per la creazione del quadro, il quale verosimilmente doveva essere stato dipinto tra il 1633 – data di costruzione dell’arpa – e il 1634 – partenza da Roma del pittore Giovanni Lanfranco. Ciò appare ancora più chiaro se si considera il ruolo da protagonista che l’arpa assume nel dipinto, rappresentata in modo teatrale, che irrompe quasi verso lo spettatore, piegata su un lato e posizionata in modo che si veda bene la colonna intagliata.
2) Il dipinto all’interno dell’abitazione del Marazzoli
Il rapporto del Marazzoli con i Barberini inizia poco dopo il suo arrivo a Roma da Parma, sua città natale, nel 1626, probabilmente al seguito del cardinale Ippolito Aldobrandini.14 I primi documenti che attestano del suo servizio presso i Barberini sono del 1629 e riguardano le spese per la manutenzione di un’arpa.15 Egli infatti doveva essere stato chiamato in qualità di arpista, tanto che era noto nei documenti come “Marco dell’arpa”. La sua ascesa all’interno della cerchia barberiniana e della corte papale è attestata dal ruolo di “bussolante”16 conferitogli dal papa – Urbano VIII Barberini – nel 1634. Lo stesso anno prese parte alle musiche della Giostra del Saracino, un torneo cavalleresco in cui il Marazzoli si può forse identificare con l’arpista della nave di Bacco.
François Colignon after Andrea Sacchi, La nave di Bacco (Fig. 5 ).
Inoltre nei ruoli di Antonio Barberini, nipote di Urbano VIII, Marazzoli è documentato nel 1637 come “aiutante di camera”, un anno dopo tra i virtuosi di famiglia, e dal 1639 come “musico”. Nello stesso anno entra come cantore soprannumerario a far parte della Cappella Pontificia, di cui diventerà poi membro effettivo nel 1640. Ed è proprio alla fine degli anni Trenta che Marazzoli inizia a comporre musica per le opere teatrali dei Barberini. S’interromperà solo con la morte di Urbano VIII nel 1644 e la conseguente partenza dei suoi nipoti per la Francia, per poi riprendere al loro ritorno, nel 1653, anno della riconciliazione dei Barberini con il papa Innocenzo X.17 Il legame con i Barberini accompagnerà così tutta la vita del musicista che muore a Roma nel 1662.
Dalla lettura dell’inventario redatto alla morte del Marazzoli si apprende che egli viveva in via Felice, l’odierna via Sistina, nei pressi della chiesa di Santa Francesca Romana, demolita a metà del XX secolo. La dimora era situata non lontano dal Palazzo alle Quattro Fontane, residenza dei Barberini. La casa era divisa in due appartamenti. In “uno stanziolino dell’appartamento nobile a mano manca nell’entrare verso il cortile” si trovava “un’arpa grande senza corde, dorata, in una cassa coperta di corame rosso con l’arme dell’Em. Sig. Card. Antonio”.18 Presumibilmente si tratta dell’arpa rappresentata nel quadro, fatta fare per Marazzoli e da questi restituita al cardinale dopo la morte.19 Questo stanziolino era destinato agli strumenti musicali, poiché vi troviamo anche un’altra arpa ordinaria (anch’essa come la prima appartenente al cardinal Antonio Barberini) e una chitarra spagnola. Inoltre vi sono due scatole con diverse corde da sonare, uno scrittoio e un libro “con diverse note e conti”. Per lo scarso arredamento si tratta presumibilmente di una stanza in cui gli strumenti venivano serbati. Da qui un corridoio portava poi nella “sala del primo appartamento”. Si direbbe a leggere dall’inventario una sala di rappresentanza, riccamente arredata.20 È qui che troviamo “un cimbalo a due registri colorito di noce e filo d’oro […]”, varii specchi, teste scultoree, due portiere, di cui una di corame turchino e oro e l’altra di panno verde foderata di “tela sangalla”, e diversi quadri, quasi tutti di soggetto profano (fanno eccezione una Maddalena e un disegno dell’Assunta). Tra questi quadri vi sono anche due dipinti di Lanfranco che Marco Marazzoli lascia in eredità a membri della famiglia Barberini. Si tratta de “l’Erminia tra i pastori” destinata a Carlo Barberini e della “Cleopatra” che andrà a Maffeo Barberini, Principe di Palestrina. Non è esposta però la “Venere che suona d’Arpa”, il che è curioso pensando che doveva essere uno dei quadri più prestigiosi della sua collezione e che nella sala, dove tra l’altro si trovava il cembalo e una moltitudine di soggetti profani, avrebbe trovato un contesto ideale: considerata la presenza del cembalo e la vicinanza allo stanziolino che conserva gli strumenti musicali è immaginabile che questa fosse la sala in cui ci si riuniva per fare musica. Inoltre essendo l’arpa lo strumento del Marazzoli poteva questo essere un ulteriore motivo per esporre il dipinto in una sala importante della sua abitazione, dove avrebbe fatto sfoggio di sé e rappresentato appropriatamente il musicista.
Invece il quadro è appeso in una stanza a cui si accede dopo essere passati per due anditi e che è descritta come “contigua alla saletta”.21 È una stanza adorna di un addobbo “di rasetti rossi e gialli” con una portiera di “broccatoni” degli stessi colori. L’ambiente è caratterizzato da un armadio in noce, uno studiolo d’ebano profilato d’avorio e sei sedie di panno d’arazzo fatto a fiori. Uno specchio e vari quadri di soggetti differenti – sacri e profani – ricoprono le pareti, mentre alcuni pezzi d’argenteria, un “moro intagliato in legno che porta in capo una conchiglia di legno dorato” e un crocifisso grande di bronzo completano l’arredo. Tra i quadri appesi alle pareti vi sono due di mano di Marco Marazzoli, dal che si desume che egli, come altri musicisti legati ad ambienti di corte, si dilettasse di pittura.22 I quadri del Marazzoli sono un “Icaro con cornice dorata” e una “Didone […] con cornice brunita e dorata” e sono gli unici che nell’inventario sono annoverati come di sua mano. La Venere di Lanfranco la troviamo esposta proprio vicino alla Didone del Marazzoli, che per ordine d’inventario è direttamente seguente. E questo è interessante, perché è come se il Marazzoli avesse assemblato nella stessa stanza delle opere che fanno riferimento sia alla sua attività pittorica che a quella musicale, pur essendo egli in primo luogo un musicista e non un pittore. Egli non prova apparentemente nessun disagio nel mettere a confronto i suoi dipinti con quello di un pittore molto affermato, come lo era Lanfranco. Ciò rimanda al tema del ‘dilettantismo’, quello che si sviluppa negli ambienti di corte e che riguarda sia i nobili che i loro cortigiani. Si tratta di un’eredità del passato che richiedeva al ‘gentiluomo’ di essere a suo agio in diverse discipline artistiche (e non), come si riscontra nel Cortegiano di Baldassare Castiglione.23 Senza voler qui approfondire l’argomento, esso lascia intendere come le arti fossero vicine l’una all’altra e di conseguenza come si intrecciassero facilmente anche le vite di artisti e personaggi provenienti da ambiti differenti.
Il rapporto tra Marazzoli e Lanfranco è da riportare al primo periodo in cui si trovavano ambedue a Roma tra il 1626, anno di arrivo del Marazzoli, e il 1634, anno della partenza per Napoli del Lanfranco. Entrambi di origine parmense si erano ritrovati a Roma nell’orbita che gravitava intorno ai Barberini. È probabile che in questi anni siano anche stati dipinti i tre quadri che compaiono nel testamento del Marazzoli (per l’appunto la Venere, la Cleopatra e l’Erminia). Non abbiamo tracce che ci facciano pensare ad un rapporto di maestro allievo tra il Lanfranco e il Marazzoli. Sappiamo però, dalle Vite de’ pittori di Giovanni Battista Passeri, che la figlia di Lanfranco “suonava assai bene l’arpa doppia e che cantava comodamente”,24 per cui si può ipotizzare che fosse il Marazzoli a dare lezioni di musica in casa del Lanfranco. Forse nell’accostare la Didone, un’opera di sua propria mano, al dipinto del Lanfranco, che per soggetto e per la presenza dell’arpa più d’ogni altro si addice al Marazzoli, il musicista faceva riferimento anche al rapporto d’amicizia che intercorreva tra i due.
Torniamo un’ultima volta sull’inventario e notiamo un dettaglio che in un primo momento può sfuggire, ma che, a nostro avviso, non è privo di significato. Nella sala sopra descritta vi sono, oltre ai dipinti di Marazzoli e quello del Lanfranco, due quadri di paesi e alcuni soggetti sacri, tra cui “Una Madonna di palmi quattro e tre larga con un Cristo, Un Angelo e S. Caterina con quattro Api alle Cantonate e cornice rabescata con cordoni dorati.”25 La cornice è rivelatrice dell’importanza del quadro: è arabescata e si distingue dalle altre per i cordoni dorati.26 Soprattutto è però interessante è la presenza delle quattro api, verosimilmente un dono da parte dei Barberini forse come ricompensa per un servizio svolto.27 Come nella Venere che suona l’arpa anche in questo quadro si legge l’importanza del rapporto del Marazzoli con i suoi mecenati. Infatti, tornando al quadro del Lanfranco, considerata l’importanza dello strumento per i suoi intagli, le dimensioni, le armi del cardinale Antonio poste sopra alla colonna, è immaginabile che chi lo conoscesse facilmente avrebbe visto nel quadro il rimando ai Barberini, grandi mecenati della musica. È significativo il fatto che alla morte del Marazzoli questo dipinto verrà lasciato al cardinale Antonio Barberini: „Item lascio al S. Card. Antonio un Quadro grande originale del Cav.r Lanfranchi con la sua Cornice nera e oro. È una Venere che sona d’Arpa e due Amori“.28 Altri due dipinti del Lanfranco, come già accennato, andranno a Carlo Barberini e a Maffeo Barberini. Altri ancora saranno invece lasciati a Giulio Rospigliosi, Carlo Pio di Savoia, Orazio Magalotti. Anche qui appare chiara l’appartenenza ad una cerchia ben definita di persone che fanno riferimento sempre ai Barberini. Giulio Rospigliosi, futuro papa Clemente IX, scrisse i libretti dei drammi musicali rappresentati dai Barberini, mentre Orazio Magalotti era imparentato con la famiglia del pontefice, essendo sua cugina, Costanza Magalotti, andata in sposa a Carlo Barberini, fratello del papa.
Concludendo, il quadro di Lanfranco appare come un omaggio a Marazzoli ed alle sue qualità di musicista attraverso la rappresentazione di uno strumento molto prezioso, fatto costruire appositamente per lui, essendo egli uno dei più insigni virtuosi d’arpa della sua epoca. Il quadro omaggia evidentemente anche i Barberini, mecenati del Marazzoli e committenti di importanti eventi musicali in cui, stando alle parole di Giovanni Battista Doni, gli strumenti si facevano “apparire al popolo” e dovevano avere “bella e graziosa presenza”, in particolare modo l’arpa che “ha più del grande e del nobile”.29 Risulta perciò anche significativo l’ambiente e l’arredo in cui viene esposto il quadro nella casa del Marazzoli, luogo in cui appare chiara la sua appartenenza ad un ambiente di corte. In questa stanza egli si presenta e rappresenta in quello che è il suo microcosmo: la musica, chiaramente, a cui deve il suo successo, ma, come abbiamo visto, anche la pittura, intesa come l’attività di un gentiluomo, uso all’ambiente di corte e alla frequentazione di principi e cardinali, in particolare quella dei suoi mecenati, i Barberini.
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Cite:&&Elisabetta Frullini, "'Venere che sona d’arpa e due amori': Marco Marazzoli alla corte dei Barberini", Harfenlabor.com, May 17, 2022, https://harfenlabor.netlify.app/research/venere-che-sona-d-arpa-e-due-amori-marco-marazzoli-at-the-barberini-court/.